Cerca
Close this search box.

MICROCLIMA: CONSIGLI E NORMATIVE DI RIFERIMENTO

Categoria:

Con l’arrivo del caldo e l’inizio della stagione estiva, è necessario fare attenzione alla tematica del comfort climatico negli ambienti di lavoro. Quali sono le norme di riferimento per la valutazione del microclima? Cosa si può fare per garantire un buon comfort climatico? Ne parliamo con Bruno Vaisitti, coordinatore delle attività di monitoraggio degli agenti fisici di Tharsos.

1 – A cosa deve fare attenzione un’azienda per salvaguardare il corretto comfort climatico dei suoi lavoratori?

Sia nelle norme tecniche, sia nelle varie pubblicazioni specialistiche disponibili anche in rete, il comfort termico viene definito come: “ … una condizione mentale, per la gran parte degli individui, di soddisfazione nei riguardi dell’ambiente termico”.

Nello stato di benessere termico, il soggetto che occupa lo spazio di lavoro non avverte sensazioni né di caldo né di freddo.

Ottenere questa situazione non è per nulla semplice, in particolare negli ambienti di lavoro che ospitano contemporaneamente più persone, dove i lavoratori occupano delle postazioni fisse, dove i lavoratori devono spostarsi da un ufficio ad un altro o raggiungere sale comuni ove, anche nel tragitto, possono riscontrare parametri microclimatici non omogenei. Praticamente tutti i luoghi di lavoro … .

Il punto di partenza è sicuramente un’attenta e corretta progettazione degli impianti di climatizzazione, sia per il riscaldamento sia per il raffrescamento, insieme ad una corretta disposizione delle postazioni di lavoro fisse nei confronti degli elementi di diffusione dell’aria calda o fredda che sia.

Nella scelta della distribuzione delle postazioni di lavoro, occorrerà quindi considerare la possibilità di allontanare quanto possibile le scrivanie dai ventilconvettori o dai radiatori, ma anche dalle finestre che si aprono verso l’esterno, al fine di evitare di sentirsi dire successivamente la classica frase: “… sento lo spiffero, sento la lama d’aria sul collo o sulle caviglie, sento il caldo (o il freddo) che arriva dalla finestra”.

Sono appunto sensazioni, ma sono disciplinate da precise norme tecniche e strumentalmente misurabili al fine di dare un’oggettività alla “sensazione” di confort.

Nella corretta progettazione di un impianto termico, occorrerà inoltre considerare la possibilità di rendere il più possibile omogenei i parametri microclimatici presenti nello stesso luogo di lavoro. Capita sovente di trovare uffici adeguatamente climatizzati ma immediatamente all’esterno degli stessi, nei corridoi o nelle sale break, riscontrare differenze di temperature decisamente rilevanti. Questi “sbalzi” di temperatura non solo sono indici di disconfort ma possono determinare veri e propri malesseri e causare assenze dal lavoro.

Nella corretta progettazione occorre necessariamente anche considerare il tema dell’efficienza energetica, sia per ridurre i costi energetici sia per salvaguardare l’ambiente. Non sempre è noto che, così come nei periodi freddi è vietato innalzare a piacere la temperatura interna oltre determinate soglie (per gli uffici 20°C +/- 2°C), anche nel periodo caldo non è possibile abbassare la temperatura sotto i 24-26°C.

Intendo dire che è proprio vietato dalla Legge (dPR 74 del 16 aprile 2013) mettere a disposizione dei lavoratori impianti di climatizzazione impostabili a “piacere” e quindi trovare degli uffici con i ventilconvettori o split impostati a 30°C nel periodo invernale piuttosto che a 16°C nel periodo estivo: attenzione perché sono comportamenti sanzionabili amministrativamente, oltre che estremamente dannosi per l’ambiente (e il portafoglio dell’imprenditore).

Potendo scegliere, dunque, sono senz’altro da prediligere impianti di tipo “centralizzato” con sistemi di diffusione puntiformi e quindi in grado di lavorare a bassa velocità, assistiti da termostati ambiente che consentono ai lavoratori di intervenire solo in minima parte – e comunque entro i limiti stabiliti dalla legislazione vigente – sui valori di temperatura e di velocità dell’aria.

Di fondamentale importanza ancora la corretta e periodica manutenzione degli impianti di climatizzazione, sia per garantire la piena efficienza di funzionamento sia per garantire le necessarie condizioni di salubrità dell’aria.

Il filtro di un ventilconvettore o di uno split non correttamente pulito, sanificato e all’occorrenza sostituito, è un veicolo di proliferazione batterica altamente preoccupante e pericoloso. Da non trascurare infine il controllo dell’umidità relativa e l’apporto di aria primaria negli ambianti in cui non siano presenti finestre o altri adeguati sistemi di ricambio d’aria.

2 – Quali sono le normative di riferimento per la valutazione del rischio microclimatico?

Oltre al già citato dPR 74/2013, il d.lgs. 81/2008 obbliga il datore di lavoro alla valutazione di tutti i rischi presenti nei luoghi di lavoro, compresi quelli legati alle condizioni microclimatiche, e nell’allegato IV fornisce indicazioni di massima riguardo l’adeguatezza dell’aerazione, della temperatura e dell’umidità degli ambienti di lavoro, ma non fornisce indicazioni di tipo quantitativo.

Il Decreto infatti non prescrive specifici valori limite, ma raccomanda di effettuare la valutazione considerando il tipo di attività svolta dal lavoratore.
Per gli ambienti termici moderati, poiché lo stress indotto dalle condizioni termo-igrometriche è ridotto per assenza di importanti scambi termici fra soggetto e ambiente, occorre valutare lo scostamento esistente tra le condizioni microclimatiche reali (quelle misurabili) e quelle standard di benessere, mediante il calcolo di specifici indici di comfort termico.
I principali riferimenti normativi per la valutazione del comfort microclimatico in ambienti termici moderati sono costituiti dalle seguenti norme tecniche:

  • UNI EN ISO 7726:2002 Ergonomia degli ambienti termici – Strumenti per la misurazione delle grandezze fisiche
  • UNI EN ISO 7730:2006 Ergonomia degli ambienti termici – Determinazione analitica e interpretazione del benessere termico mediante il calcolo degli indici PMV e PPD e dei criteri di benessere termico locale
  • UNI EN ISO 8996:2005 Ergonomia dell’ambiente termico – Determinazione del metabolismo energetico
  • UNI EN ISO 10551:2002 Ergonomia degli ambienti termici – Valutazione dell’influenza dell’ambiente termico mediante scale di giudizio soggettivo

Il riferimento tecnico principale è senz’altro costituito dalla norma UNI EN ISO 7730:2006 che si basa sia sul valore assunto dalla temperatura operativa To (media aritmetica della temperatura dell’aria e della temperatura media radiante), sia sugli indici di Fanger.
La temperatura operativa è indice della sensazione di caldo o di freddo.

Gli indici elaborati dal danese Fanger, invece, sono basati sull’equazione del bilancio termico dell’organismo che considera sia i dati analitici derivati dai parametri ambientali misurati e dall’attività svolta dal soggetto, sia valutazioni di tipo psicofisiologico: si tratta dell’indice PMV (Voto Medio Previsto), funzione del dispendio metabolico e del carico termico agente sul soggetto e dell’indice PPD (Percentuale Prevedibile di Insoddisfatti), fra loro correlati.
Per garantire il comfort termico la norma raccomanda che il PPD risulti inferiore al 10 %, cioè che non più del 10 % dei soggetti consideri l’ambiente termico come insoddisfacente. Tale condizione corrisponde ad un valore di PMV compreso tra -0,5 e +0,5. Ambienti contraddistinti da valori di PMV superiori a +0,5 sono percepiti come troppo caldi dagli occupanti, mentre ambienti in cui il PMV è inferiore a -0,5 come troppo freddi. Anche in condizioni ottimali esiste sempre una piccola percentuale di soggetti che valuta l’ambiente termico come insoddisfacente.
Tali indici consentono di valutare le condizioni di comfort per un soggetto che si trovi in un ambiente confinato e sono utilizzabili soltanto per la valutazione del comfort globale. Tuttavia la norma UNI EN ISO 7730 fornisce indicazioni per valutare anche il disagio dovuto alle variazioni spaziali o locali di una o più grandezze microclimatiche.

In particolare occorre valutare anche il discomfort localizzato legato ai seguenti fattori di disagio locale:

  • correnti d’aria, che provocano raffreddamento convettivo del corpo;
  • differenze di temperatura eccessive fra testa e caviglie (gradienti verticali di temperatura);
  • asimmetrie radianti;
  • temperatura del pavimento inadeguata;
  • fluttuazioni dei parametri termo-igrometrici nel tempo e/o nello spazio.

Esistono poi delle Linee Guida Regionali (es. la “datata” pubblicazione della Regione Piemonte del giugno 2006) nonché approfondite pubblicazioni tra cui cito quella INAIL 2018 https://www.inail.it/cs/internet/docs/alg-pubbl-valutazione-del-microclima.pdf

3 – Quali accorgimenti possono adottare anche i lavoratori stessi per un buon comfort climatico?

La stessa norma tecnica di riferimento prevede che con il 10% di soggetti non completamente soddisfatti delle condizioni microclimatiche, la situazione è ottimale. Da un lato quindi il Datore di Lavoro deve rassegnarsi la fatto che qualcuno dei propri lavoratori rappresenti delle lamentele o segnalazioni. Dall’altro lato i lavoratori devono necessariamente dimostrare una certa “tolleranza” tra le proprie sensazioni e quelle dei propri colleghi che dividono gli spazi di lavoro.

Certo se, dalle valutazioni strumentali e poi analitiche emergessero delle percentuali di insoddisfatti molto diverse da quelle previste dalla norma tecnica, occorrerà necessariamente prevedere degli adeguati interventi tecnici ed organizzativi.

Se invece le valutazioni strumentali dimostrano il rispetto dei limiti suggeriti dalla norma tecnica, i lavoratori potranno:

  • adeguare il loro abbigliamento alle condizioni climatiche esistenti. Capita di trovare in estate lavoratori con maglie e sciarpe e termostati impostati a 18°C e viceversa in inverno, lavoratori in maglietta con termostati a 28°C e magari finestre aperte.
  • evitare il più possibile di modificare frequentemente i parametri pre-impostati. Gli impianti termici, in particolare quelli nei grandi ambienti, hanno necessariamente una elevata inerzia. Modificare sovente la temperatura e la velocità dell’aria in funzione delle istantanee sensazioni di caldo o di freddo comporta enormi consumi energetici, determina importanti sollecitazioni agli impianti di climatizzazione ma soprattutto è pressoché inutile a migliorare il confort. E’ senz’altro preferibile lasciare le condizioni microclimatiche preimpostate il più possibile stazionarie. Sarà il nostro organismo che nel giro di poco tempo si “acclimaterà” alla condizione esistente riducendo la sensazione di caldo o di freddo che possiamo percepire al nostro arrivo nel luogo di lavoro.
  • Nei periodi particolarmente caldi o freddi, evitare di aprire porte o finestre negli ambianti climatizzati, se non per brevissimi periodi tempo. Consideriamo che la differenza di temperatura tra l’interno o l’esterno del nostro ufficio può raggiungere nei periodi estremi dell’anno valori superiori ai 15-20°C. Correggere tali differenze con gli impianti di climatizzazioni esistenti, per tanto che possano essere efficienti ed efficaci, vuol dire consumare importanti quantitativi di energia e accettare il fatto che trascorrerà molto tempo prima che le condizioni microclimatiche ottimali si possano completamente ristabilire.

Le ultime news

Fai una domanda

Per informazioni, dubbi, richieste sui nostri servizi, quotazioni ad hoc, scrivici qui.

    Accetto le condizioni di uso